TRIBUNALE DI MILANO 
                        Sezione prima civile 
 
    Il  Tribunale,  nella  persona  della  dott.  Paola  Gandolfi  ha
pronunciate la seguente ordinanza nella causa iscritta  al  n.  55559
dell'anno 2016 R.G. promossa da: I.C., (c.f.     ), con il patrocinio
degli avv. Ricci Cristina e Paglino Gianluca  (PGLGLC79B13D286M)  via
Dante Alighieri n. 7 - 20900 Monza, ricorrente; 
    Contro il  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti  -
Ufficio della motorizzazione di Lecco, (c.f.     ), con il patrocinio
dell'avv.  Avvocatura   Stato   Milano,   e   resistente;   Ministero
dell'interno, (c.f.      ),  con  il  patrocinio  dell'avv.Avvocatura
Stato Milano, e resistente; 
Descrizione della fattispecie e del thema decidendum del giudizio 
    Con atto di citazione ritualmente notificato, I.C. ha chiesto  di
accertare  l'illegittimita'  e,  per  l'effetto,   di   annullare   o
disapplicare il provvedimento amministrativo  con  cui  il  Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti gli aveva negato il rilascio del
titolo abilitativo alla guida, adottato  sulla  base  dell'art.  120,
comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della
strada), in  quanto,  dai  controlli  effettuati,  era  risultata  la
condanna irrevocabile a suo carico alla pena sospesa di un anno e  un
mese di reclusione, per il reato di cui all'art. 73 del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990, commesso quando  era  ancora
minorenne e in relazione al quale erano state concesse le  attenuanti
generiche; 
    A  sostegno   delle   proprie   pretese   l'attore   ha   dedotto
l'incostituzionalita'  dell'art.  120,  comma   1,   sostenendo   che
l'automatismo del diniego  ivi  previsto  dovrebbe  trovare,  invece,
applicazione  solo  con  riguardo   alle   condanne   relative   alle
fattispecie di  non  lieve  entita'.  Cio'  in  quanto,  diversamente
ragionando, il rinvio dell'art. 120 all'art. 73 nella  sua  interezza
finirebbe illogicamente per attribuire rilievo, ai fini  del  diniego
al rilascio o della revoca della  patente  di  guida,  a  fattispecie
penali dotate di differente disvalore, con  violazione  dei  principi
sanciti dagli articoli 3 e 27 della Costituzione. 
    Ha   chiesto,   pertanto,   in   via   principale,   di   operare
un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 120,  comma
1, del Codice della  strada,  nonche',  in  subordine,  di  sollevare
questione di legittimita' costituzionale della  norma  in  questione,
con riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione. 
    Occorre rilevare,  in  primo  luogo,  che  non  appare  possibile
procedere ad un'interpretazione dell'art. 120 del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285, orientata in senso conforme alle disposizioni
costituzionali. 
    Il comma 1  dell'art.  120,  infatti,  espressamente  prevede  il
dovere per la pubblica amministrazione di  vietare  il  conseguimento
del titolo abilitativo all'autorita' amministrativa in via automatica
per tutte le condanne ivi  elencate,  senza  operare  distinzioni  in
relazione al diverso disvalore dei fatti di reato. 
    La chiara lettera della legge, confermata anche dall'utilizzo  di
espressioni  dal  senso  univoco  («Non  possono  conseguire»),   non
consente l'interpretazione richiesta dall'attore. 
    Come  e'  noto,  infatti,  la   possibilita'   di   una   lettura
costituzionalmente orientata incontra il limite  dell'univoco  tenore
della norma, che segna il confine in presenza del quale il  tentativo
di interpretazione deve cedere il passo al sindacato di  legittimita'
costituzionale, in quanto, altrimenti, il  giudice  sconfinerebbe  in
un'interpretazione contra legem. 
    Cio' posto, si ritiene che il presente giudizio non possa  essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale, che pertanto si solleva, dell'art.  120,
comma 1,  del  decreto  legislativo  30  aprile  1992,  n.  285,  per
contrasto con l'art. 3 della Costituzione. 
    Diversamente, appare manifestamente  infondata  la  questione  di
costituzionalita'   della   disposizione   in   questione   sollevata
dall'attore con  riferimento  all'art.  27  della  Costituzione,  che
riguarda esclusivamente le sanzioni penali. La Corte  costituzionale,
infatti, ha di recente confermato che «la revoca della  patente,  nei
casi previsti dall'art. 120 in esame, non  ha  natura  sanzionatoria,
ne'  costituisce  conseguenza  accessoria  della  violazione  di  una
disposizione in tema di  circolazione  stradale,  ma  rappresenta  la
constatazione  dell'insussistenza   (sopravvenuta)   dei   "requisiti
morali"  prescritti  per  il  conseguimento   di   quel   titolo   di
abilitazione»  (sentenza   n.   22/2018),   argomentazione   che   e'
chiaramente estensibile anche al diniego al conseguimento del  titolo
abilitativo. Avendo escluso la  Corte  costituzionale  in  radice  la
natura sanzionatoria del provvedimento de quo, non si pone, pertanto,
neanche la questione di verificare se il  diniego  sia  assimilabile,
nella sostanza, ad una sanzione penale, secondo le indicazioni  della
giurisprudenza sovranazionale. 
Questione di legittimita' costituzionale 
    Il giudice ritiene di dover sollevare questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 120, comma 1, decreto legislativo 30  aprile
1992, n.  285,  nella  parte  in  cui  stabilisce  che  «Non  possono
conseguire la patente di guida [...], le  persone  condannate  per  i
reati [in materia di stupefacenti] di cui agli articoli 73 e  74  del
testo unico di cui al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  9
ottobre 1990, n.  309,  fatti  salvi  gli  effetti  di  provvedimenti
riabilitativi [...]», in quanto tale disposizione appare contrastante
con l'art. 3 della Costituzione sotto due distinti profili. 
    Giova premettere che la necessita' di  sollevare  tale  questione
discende da quanto gia' affermato dalla  Corte  costituzionale  nella
pronuncia n. 22/2018, con cui e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 120, comma 2, Codice  della  strada,  «nella
parte in cui dispone che il prefetto "provvede" -  invece  che  "puo'
provvedere" -  alla  revoca  della  patente  di  guida,  in  caso  di
sopravvenuta condanna del suo titolare per reati di cui agli articoli
73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990». 
    Si ritiene, infatti, come  si  avra'  modo  di  approfondire  nel
prosieguo,  che  le  medesime  considerazioni  espresse  dalla  Corte
costituzionale con riguardo al comma 2 dell'art. 120  debbano  valere
anche con riferimento al comma 1 del medesimo articolo, in quanto  si
impone, anche in relazione a quest'ultima disposizione,  il  rispetto
dei principi di eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza. 
    Si  pone,  inoltre,  la  questione  -  strettamente  correlata  -
relativa  al  deteriore  trattamento  dei  soggetti   che   intendano
conseguire per la prima  volta  il  titolo  abilitativo,  rispetto  a
quelli interessati dal  provvedimento  di  revoca  della  patente  di
guida: a  seguito  della  pronuncia  della  Corte  costituzionale  n.
22/2018, infatti, l'autorita' amministrativa puo' fare esercizio  del
proprio potere discrezionale  unicamente  in  caso  di  revoca  della
patente e non anche laddove si imponga il  diniego  al  rilascio  del
titolo abilitativo in questione. 
Rilevanza della questione 
    In merito alla rilevanza, osserva  il  giudice  che  l'art.  120,
comma 1, Codice della strada, prevede che la condanna per i reati  di
cui agli articoli 73 e 74, decreto del Presidente della Repubblica n.
309/1990, comporti in via automatica la perdita dei requisiti  morali
necessari per ottenere la patente di guida, fatti salvi  gli  effetti
di provvedimenti riabilitativi. 
    Poiche' l'impossibilita' di ottenere la patente consegue al venir
meno dei requisiti morali del soggetto  abilitando  alla  guida,  per
ogni nuovo  rilascio  della  patente,  e'  prescritta  alla  pubblica
amministrazione  la  verifica  che  non  sussistano  quelle  condanne
indicate  dalla  norma,  senza   possibilita'   di   operare   alcuna
valutazione in concreto in ordine alla gravita' del fatto di reato  e
alla data, piu' o meno risalente, della condanna. 
    Ebbene,  il   ricorrente   nel   presente   giudizio   e'   stato
definitivamente condannato con sentenza  emessa  il  19  aprile  2014
dalla Corte d'appello di Milano - sezione per i  minorenni  (divenuta
irrevocabile in data 21 aprile 2015) per il reato previsto  dall'art.
73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, alla pena
sospesa di un anno e un mese di reclusione. Con provvedimento  del  2
luglio 2016, il Ministero delle  infrastrutture  e  dei  trasporti  -
Ufficio motorizzazione di Lecco,  ha,  di  conseguenza,  disposto  il
diniego al rilascio del titolo abilitativo alla guida  richiesto  dal
ricorrente, non ammettendo lo stesso alla prova per il  conseguimento
della patente di categoria B. 
    Facendo applicazione di tale norma, essendo  l'unico  presupposto
rilevante per il diniego l'intervento di  una  sentenza  di  condanna
irrevocabile, che, nel caso di specie, si e' verificato nel  2015,  e
non essendo  nel  frattempo  intervenuta  la  riabilitazione,  questo
tribunale dovrebbe  rigettare  il  ricorso,  in  quanto  la  pubblica
amministrazione si e' limitata a  fare  corretta  applicazione  della
previsione di legge. 
    Diversamente, laddove la Corte costituzionale si pronunciasse per
l'incostituzionalita' della norma, il ricorso avverso il  diniego  al
rilascio  del  titolo  abilitativo  disposto  in  via  automatica  e,
pertanto, carente di motivazione, dovrebbe essere accolto. 
    Sul punto non priva di rilevanza e' la circostanza che, nel  caso
di specie, il reato dal quale e'  discesa  la  condanna  ostativa  ai
sensi dell'art. 120, comma 1, e' stato commesso dal ricorrente quando
ancora era minorenne ed e' stato  qualificato  come  fatto  di  lieve
entita'. 
    La questione di costituzionalita' e', pertanto, indispensabile ai
fini della decisione, poiche' investe la stessa previsione che  venga
negata o meno in via automatica  la  possibilita'  di  conseguire  la
patente di guida per le condanne di cui al testo unico in materia  di
stupefacenti. 
Non manifesta infondatezza della questione 
    Questo  giudice  ritiene  che  l'art.  120,  comma   1,   decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285,  possa  porsi  in  contrasto  con
l'art. 3 della Costituzione, in quanto parrebbe  confliggere  con  il
principio  di  ragionevolezza  sotto   due   profili,   che   occorre
distinguere. 
    1)  Innanzitutto  anche  il  comma  1,  come  il  comma  2,  gia'
dichiarato incostituzionale con sentenza n. 22/2018, prevede  che  la
condanna per i reati di cui agli articoli 73 e  74  del  testo  unico
stupefacenti, comporti in via automatica  la  perdita  dei  requisiti
morali  necessari  per  ottenere  la  patente  di  guida;   un   tale
automatismo si pone in  contrasto  con  i  principi  di  eguaglianza,
proporzionalita'  e  ragionevolezza   di   cui   all'art.   3   della
Costituzione. Cosi' disponendo, infatti, il comma 1 ricollega in  via
automatica il medesimo effetto (ossia l'impossibilita' di  conseguire
la patente di guida), ad una varieta' di fattispecie, non sussumibili
in termini di omogeneita', atteso che la condanna, cui  la  norma  fa
riferimento, puo' riguardare reati di diversa, se non addirittura  di
lieve, entita', e che, per di piu', possono  essere  anche  risalenti
nel tempo, rispetto alla data di definizione  del  giudizio.  Il  che
dovrebbe  escluderne  l'attitudine  a  fondare,  nei  confronti   del
condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio di assenza
dei  requisiti  soggettivi  per  il  conseguimento  del   titolo   di
abilitazione alla guida, riferito, in via automatica,  all'attualita'
(in questi termini, la sentenza n. 22/2018 citata). 
    2) Ulteriore profilo di irragionevolezza  della  disposizione  in
esame e', poi,  ravvisabile  nella  permanenza  dell'automatismo  del
diniego di  conseguimento  della  patente  di  guida,  rispetto  alla
discrezionalita' della parallela misura della revoca  della  patente,
cosi' come prevista a seguito della modifica del comma 2,  in  virtu'
della sentenza della Corte costituzionale. 
    In altri termini, per come riformulato,  l'art.  120  del  Codice
della strada prevede un trattamento differenziato a  seconda  che  la
persona non in possesso dei requisiti morali richiesti, a seguito  di
condanna per i reati di cui agli articoli 73 e  74  del  decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  309/1990,  sia  destinataria  di  un
provvedimento di diniego al  rilascio  del  titolo  abilitativo  alla
guida, in quanto non era mai stata titolare della patente  di  guida,
oppure di un provvedimento di  revoca  del  titolo  abilitativo  alla
guida, in quanto la condanna sia intervenuta in momento successivo al
rilascio della patente. 
    Siffatta disparita' di trattamento appare irragionevole in quanto
tali due misure riguardano la stessa tipologia di condanna comminata,
incidono in senso  identicamente  negativo  sulla  titolarita'  della
patente  e  rispondono  alla  medesima  finalita',   differenziandosi
unicamente in relazione ad un presupposto di fatto che nulla ha a che
vedere con  le  qualita'  morali  del  condannato,  vale  a  dire  la
precedente titolarita' della patente di  guida,  che  si  atteggia  a
variabile del tutto estranea alla condotta dequalificante. 
    Si noti che, ad aggravare siffatta discrasia, sta anche il fatto,
sia pure non direttamente rilevante nel  presente  giudizio,  che  il
divieto di conseguire la patente di guida ai sensi del comma  1  puo'
essere  superato  unicamente  dall'intervento  di  un   provvedimento
riabilitativo, che richiede un vaglio giudiziario e che di regola  e'
concedibile  solo  decorsi  tre  anni   dall'estinzione   del   reato
(estinzione che, a sua volta, puo' avvenire con modalita'  e  termini
differenti). Diversamente, in caso di revoca del  titolo  abilitativo
alla guida ex art. 120, comma 3, Codice della strada, e' previsto che
possa essere conseguita una  nuova  patente  di  guida  semplicemente
decorsi tre anni dallo stesso provvedimento di revoca.  I  condannati
gia' titolari di abilitazione alla guida possono  essere  ammessi  al
nuovo esame di guida per il semplice decorso  di  un  triennio  dalla
revoca amministrativa, mentre quelli  che  devono  ancora  sostenerlo
devono munirsi del provvedimento riabilitativo in sede penale, con un
percorso piu' lungo.